Quando sei entrato nel progetto, gli autori - Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman - avevano già premontato il film. Che effetto ti ha fatto vedere la prima messa in fila e come hai lavorato da quella base?
E' da tempo che varie tipologie di registi-montatori si aggirano per le moviole: c'è quello che ti detta i due fotogrammi in meno, l'altro che ti strappa la tastiera dalle mani e va avanti e indietro a velocità forsennata sul girato, c'è poi quello che di giorno gira e di notte monta con I-Movie. Ma si sa, quello del montatore è un lavoro per creature a sangue freddo: con le chiavi della moviola ti consegnano anticorpi per queste ed altre situazioni predeterminate. Nel caso di Butterfly però (Ale, Casey, per quella cena da Pinchiorri poi ci si mette d'accordo..) il lavoro di premontaggio è stato prezioso. Mi ha consentito di entrare subito in empatia con Irma e di capire in maniera molto più diretta di mille spiegazioni la Butterfly che i miei filmmaker stavano cercando. Partendo quindi dalla loro stesura, affrontando la revisione di ogni singola scena ho poi spulciato tutto il girato alla ricerca di cose che stimolassero la mia curiosità, privilegiando i momenti privati di Irma, le situazioni nelle quali lo sguardo della macchina da presa fosse meno invadente.
Nel montare "la realtà" il montaggio si fa strumento autoriale per eccellenza. Tutto può cambiare. Tu sei tendenzialmente un montatore di film di finzione, ti riconosci in questa definizione? Cosa cambia per te quando non hai una vera e propria sceneggiatura cui riferirti?
In effetti non mi ci riconosco fino in fondo, da sempre amo film di finzione agli antipodi tra loro per quel che riguarda il rapporto con la realtà: da un lato i visionari, i Bunuel, i Gilliam, dall’altro quelli con i piedi ben piantati per terra, i Dardenne, il mio amato Antonio Capuano... E comunque per un montatore la moviola di un documentario è una specie di paese dei balocchi, sei completamente libero nella costruzione del racconto, è la situazione più creativa che un narratore per immagini possa sognare. E' vero che in tutte le forme di cinema la riscrittura definitiva è dettata dal montaggio, ma nei film di finzione il montatore deve fare i conti con la sceneggiatura, nel documentario invece, al di la' delle intenzioni iniziali, l'idea del film che sarà nasce sempre diretta e spontanea dal materiale girato. Puoi immaginare, scrivere quello che vuoi prima delle riprese ma sarà la materia viva, palpitante del film a venirti incontro e a portarti per mano lungo la strada della narrazione. La sconfitta di Irma alle Olimpiadi (al di là del sincero dispiacere per lei) è filmicamente molto più potente ed evocativa di un trionfo annunciato.
Per un montatore la moviola di un documentario è una specie di paese dei balocchi, sei completamente libero nella costruzione del racconto, è la situazione più creativa che un narratore per immagini possa sognare.
Pensi che ci sia un limite etico nel montare, rimontare, spostare di senso o segno, suggerire associazioni e significati in un film come Butterfly, che parla così fortemente di persone vere? Come ti approcci a questo tema?
Il limite etico c'è ed è evidente a monte, nel momento in cui si decide di puntare una camera addosso ad un non professionista. Quando quelle riprese ti arrivano in moviola l'ipocrisia, la finzione è già stata consumata. A quel punto il montaggio – strumento manomissorio per eccellenza- può e deve prendersi dei rischi, non avere tabù nel forzare alcune situazioni, fa parte del gioco. La linea da non oltrepassare la traccia la tua coscienza morale e il provare empatia come primo spettatore del film per i personaggi che stai mettendo in scena ti guiderà nel fare le scelte giuste.
Quando quelle riprese ti arrivano in moviola l'ipocrisia, la finzione è già stata consumata. A quel punto il montaggio – strumento manomissorio per eccellenza- può e deve prendersi dei rischi, non avere tabù nel forzare alcune situazioni, fa parte del gioco.
Che rapporto hai con gli autori in generale, e hai avuto in questo caso specifico con Ale e Casey?
Poco prima dell'uscita in sala di un film da me montato, Lecture 21, Alessandro Baricco che ne era il regista pubblicò un breviario su ciò che aveva capito del cinema, e la M di Montatore recitava così: “Ci son solo tre figure, nella vita, con cui è dato raggiungere un livello di vera, incondizionata intimità, pur senza fare sesso: quando ti spacchi un ginocchio, il tuo fisioterapista; quando sei cattolico, il tuo confessore; quando giri un film, il tuo montatore”. Ecco, l'intimità è la parola chiave: registi e montatori passano più tempo insieme tra di loro che con i rispettivi compagni e familiari nell’arco della post- produzione di un film. E forse Baricco dimentica una figura che compendia le tre citate: l'analista. Se non sei disturbato non fai il regista. Se non sei disturbato e paziente non fai il montatore. Stavolta però il paziente disturbato non è cascato male: con Casey e Alessandro - registi tra i meno disturbati che conosca - una simpatia immediata cementata da grandi spaghettate “a” vongole sul terrazzo della mia moviola vista mare ha facilitato un'intesa non sempre scontata quando lavori con coppie di registi (due teste è difficile metterle d'accordo, figuriamoci tre...)
Se non sei disturbato non fai il regista. Se non sei disturbato e paziente non fai il montatore.
Il fatto che fossi napoletano era importante per gli autori, Ale e Casey si ritengono “stranieri” a quelle terre. Pensi che abbia avuto un ruolo determinante il fatto che tu fossi napoletano nel montare questo specifico film? Per esempio hai spinto perché una scena nel ristorante cambiasse musica, la ritenevi troppo “napoletana”.
Al di là di una necessità meramente tecnica (c'erano nel girato espressioni dialettali difficilmente comprensibili anche per i Torresi, secondo me) il mio essere napoletano atipico me lo porto sempre dietro, anche in moviola. Sorveglio. Ci sono rappresentazioni della napoletanità raccapriccianti per adesione alla banalità del luogo comune anche in film di autori partenopei affermati. Lo sforzo quotidiano che faccio nel mio lavoro - ma non solo - è quello di provare a leggere e raccontare le innumerevoli, sorprendenti sfumature della realtà.
I ragazzi spendono solo parole di elogio e ringraziamento nei tuoi confronti, ma Il finale del film ha creato dei dissapori fra voi, come la vedi tu? E normalmente un montatore cosa dovrebbe fare in casi come questi, quando le idee artistiche differiscono?
Una delle prime cose che ho fatto nel rimettere mano al loro premontato è stata quella di incorniciare il film, costruire inizio e fine sulla bambina che voleva diventare come Irma. Raramente ho avuto la sensazione di aver centrato una scelta come stavolta, ed ogni volta che vedendolo e rivedendolo arrivavo alla fine del film mi emozionavo come fosse la prima volta. Non è cosa che accade spesso a chi fa il mio lavoro, tutt'altro.
Anche i feedback entusiastici dei primi spettatori occasionali confortavano le mie buone sensazioni. Sommo stupore allora, quando i ragazzi mi hanno comunicato che avevano modificato il finale. Non volevo crederci, non ho voluto vedere per lungo tempo il film nella sua nuova veste. L'ho fatto ora per scrivere queste righe e sono veramente idrofobo, affettuosamente, ma idrofobo. L'ossessione per la rinascita spiegata e non suggerita, la leggerezza della sospensione sacrificata alla gravosità del didascalismo... la Farfalla è sempre bellissima, ma per me non più agile ed evocativa come dovrebbe essere e com'era stata.
(Pretenderò il Finale Alternativo negli Extra DVD!)
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